Io
Secondo la mitologia greca, Io era una sacerdotessa della quale Zeus si era, come al solito, perdutamente innamorato.
Per non farsi scoprire dalla giustamente gelosissima moglie Era, Zeus utilizzava vari stratagemmi e metamorfosi per riuscire ad arrivare in segreto dalle sue amanti.
Per andare a trovare Io si trasformava in nube dorata, entrava nella sua casa, l’avvolgeva e così si univa a lei.
Era però, ormai sfiduciata nei confronti del marito infedele, conosceva bene questi stratagemmi quindi lo seguì e scoprì tutto.
Zeus per non far torcere un capello ad Io, avendo promesso alla moglie di non averla mai toccata, quando fu scoperto la trasformò in mucca sperando così di riuscire a farla fuggire alle ire della moglie, che invece non gli credette e continuò a torturare la giovane giovenca in ogni modo possibile.
Varie furono le volte che Zeus tentò di salvare la sua amata Io, ma ognuna di queste veniva poi contrastata dalla moglie, tanto che la poveretta fu costretta, torturata da un tafano da lei mandato, a scappare attraversando lo stretto tra Europa ed Asia che da lei prese il nome di Bosforo, passaggio della giovenca.
Giunse così in Egitto, dove diede alla luce il proprio figlio Epafo e ritornò alle sue fattezze umane.
Il figlio Epafo fu re d’Egitto, non senza aver prima subito anche lui le torture vendicative di Era.
Fu rapito, strappato alla propria madre, che partì per un nuovo viaggio alla sua ricerca.
Lo ritrovò il Siria, dove Astarte si prendeva cura di lui e lo allattava.
Finalmente Io con suo figlio poterono tornare in Egitto dove, appunto, poi fu re.
Questa è la storia leggendaria della sacerdotessa Io, persona che divenne mucca, mentre questa che vi racconteremo è la storia vera, reale, tangibile, di un’altra Io che da mucca diventò persona.
Io era una mucca alla quale era stato assegnato un numero, un marchio, che poi fu levato per metterlo in maniera assolutamente irregolare ad una nuova vitella giunta in quell’allevamento di bovini a Suzzara diventato tristemente famoso per il ritrovamento di carcasse seppellite in un campo.
Qui si produceva latte con il quale si producono formaggi.
Lei e altre sette dovevano essere smaltite per marchi irregolari o assenti.
Due di loro non ce l’hanno fatta perché “mucche a terra”, ossia madri così sfinite e sfruttate che dopo l’ennesima gravidanza non riescono ad avere le forze per rialzarsi.
Sei di loro invece ce l’hanno fatta e tutti conoscete la loro storia, che ancora non è finita.
Una di loro, forse una delle più vecchiette (se vecchia si può considerare una mucca di quattro anni, considerando che la dentatura da adulto la completano a cinque) è appunto Io.
Io è stata la prima che abbiamo visto in una delle prime foto che ci sono state inviate quando abbiamo iniziato la collaborazione con Vitadacani per riuscire a tirarle fuori da quell’inferno.
Era magra, magra all’inverosimile.
Quando è arrivata era il numero 797.
Era triste e sporca e non ostante nell’allevamento fosse nel box insieme a Verdena, era sola.
Le prime cose che ci colpirono di lei furono la testa bassa e la pancia gonfia.
I veterinari però erano sicuri che non fosse gravida.
Arrivata qui da noi ha avuto una ripresa più lenta rispetto alle altre due pazze, forse per l’età, forse perché ne aveva viste tante, forse per il maggior numero di gravidanze e mungiture subite, però ce l’ha fatta.
Dopo un mese e mezzo era bella ingrassata, aveva ripreso stabilità perché le si sono rinforzati i muscoli, le si sono limate le unghie, ed è tornata a vivere.
Però c’era qualcosa. La testa sempre bassa, la voglia di solitudine, l’atteggiamento sottomesso. Non riusciva a fidarsi di noi completamente, oppure ci stava dicendo qualcosa.
E i veterinari continuavano a dire che non era incinta.
In effetti era ingrassata parecchio quindi la pancia sembrava meno evidente.
Però un giorno le si sono gonfiate le mammelle. Sempre di più fino a quando il sospetto di una gravidanza isterica ha lasciato il posto al sospetto di una gravidanza reale.
Da quando si gonfiano le mammelle, si conta un mese per il parto in una mucca in forze che ha avuto una gravidanza in condizioni ottimali.
Una mucca in gravidanza deve mangiare quasi il doppio.
Prima che le volontarie di Vitadacani riuscissero ad andare a sfamarle, invece, nemmeno mangiava.
Non ha avuto una gravidanza in condizioni ottimali, decisamente, e questo ci stava tenendo in allarme.
La preoccupazione che qualcosa andasse storto ci stava assillando ma, troppo felici del fatto che sarebbe stata la prima mucca “da latte” a partorire libera e suo figlio o figlia il primo nato libero, ci metteva addosso talmente tanta euforia da farci rifiutare i pensieri negativi. Sarebbe andato tutto bene. Doveva andare tutto bene.
Lunedì 23 le prime perdite importanti.
Martedì 24 perdite sempre più intense.
Non è passato un mese dannazione!
Giro di veterinari per avere conferma di quello che avevamo ben capito e temevamo: stava per partorire.
Tutta la notte ad assillare i vari veterinari, che ci impartivano le direttive giuste sulle mosse da fare o non fare.
Tutta la notte a vegliare su di lei per controllare che tutto andasse liscio, e pronti ad intervenire se fosse stato necessario.
Si rompono le acque.
Da ora conto alla rovescia. Entro tre ore deve uscire.
Ci concediamo una cioccolata calda per darci energie.
Alimentiamo la stufa per non farla spegnere.
Dentro e fuori casa, dentro e fuori la stalla.
Alle cinque ci prende una strana sensazione, usciamo di corsa. Finalmente è nato.
Ma qualcosa non va.
La mamma è in piedi e lo guarda triste.
Lui è fermo.
Lo ricopriamo di paglia, lo strofiniamo, lo facciamo reagire.
Muggisce ma non si alza.
E’ piccolo, troppo piccolo. E questo ci spaventa.
Gli diamo subito un nome, Siria, per dargli ulteriore forza.
Continua a non alzarsi, e la mamma si avvicina a lui iniziando una conversazione segreta che solo loro quattro bovini capiscono.
Polz e Verdena, che ci avevano consigliato di tener lontane dalla mucca partoriente, stavano continuamente, come sfingi silenti, al suo fianco andando ogni tanto a leccarla e a stimolarla a camminare quando stava accucciata per troppo tempo.
Polz, che sospettiamo essere figlia di Io, per le attenzioni ed effusioni che le due si scambiano, non la lasciava sola un minuto.
Quando il piccino è nato, andava anche lei a leccarlo, a spingerlo. Poi si è piazzata a due metri di distanza, seria e statuaria, ad ascoltare il dialogo tra Io e Siria, mentre Verdena intonava uno strano canto, all’altro capo della stalla.
Era evidente che loro capissero benissimo quel che stava accadendo. E, in fondo, anche noi.
Ma era straziante. Non potevamo arrenderci, e nemmeno accettarlo.
Abbiamo provato a lasciarli soli qualche minuto. Ma la situazione non migliorava. Anzi.
Abbiamo allora deciso di intervenire. L’abbiamo preso, messo in auto con il riscaldamento acceso, e provato ad allattarlo con del latte per cuccioli che teniamo per le emergenze, avvolto nelle coperte. Ma nulla.
Si è accasciato tra le nostre braccia. Ha smesso di respirare e ci ha lasciati così. Inermi, impotenti, sfiniti e disperati.
Io invece, per fortuna, stava benissimo. Per assurdo sembrava quasi disperata.
Ripensando un attimo alla sua situazione, da un punto di vista distaccato ed oggettivo, una mucca che per anni viene stuprata, ingravidata e privata del proprio figlio dopo pochi giorni, come può essere felice di mettere al mondo l’ennesimo cucciolo?
Anche se ha davanti a sé persone che stanno spaccando il mondo per loro, che in lacrime le dicono di avere speranza, di avere fiducia, che stavolta andrà diversamente, che non glielo porterà via nessuno, che deve farcela.
Lei ha deciso che lo lo voleva, o forse qualcun altro ha deciso per lei?
Una fecondazione quando non poteva essere fecondata, una gravidanza condotta nelle condizioni più disperate, l’ennesima gravidanza non voluta, frutto della fecondazione artificiale ad opera dell’uomo. Era troppo provata. Era troppo difficile.
Il responso del veterinario, dopo l’esame del corpicino di Siria, è stato inequivocabile: nascita prematura. Legamenti, cartilagini e zoccoli non erano ancora completamente formati. Per quello non si alzava. Non poteva farlo.
L’unica nota positiva è che Io ora è davvero serena.
Con la testa alta pascola accanto alle altre come se avesse lasciato andare l’ultimo pezzo della sua vita precedente, come se fosse sparita l’unica cosa che ancora la legava a quella stalla orribile.
A noi invece resta il dolore.
E la rabbia.
Ci credevamo davvero che Siria ce la potesse fare. Sarebbe stato il giusto riscatto per Io, poter finalmente avere un figlio suo accanto, allattarlo, leccarlo, vederlo crescere, viverci insieme per anni ed anni.
Non è stato così purtroppo.
Almeno Siria non è morto in mezzo al letame di una stalla buia, non sarà buttato in un campo o in una discarica, non è nato solo e nemmeno morto solo, come tutti quelli che invece nascono per essere condannati, e per i quali continueremo a spaccare il mondo.
Perché siamo ancora più arrabbiati. Perché se a quelle mucche avessero dato da mangiare, se avessero autorizzato prima la loro partenza verso i rifugi, Siria probabilmente sarebbe nato nei giusti tempi. Sarebbe ancora vivo. Sarebbe stato il primo vitello nato libero.
Anche per questo, noi continueremo a combattere contro gli allevamenti. Perché il più grande se di questa storia è questo: se gli allevamenti non esistessero, tutto questo non sarebbe accaduto.
Per tutti e tutte le Siria di ogni stalla del mondo.
Io, insieme a Verdena e Polz, è ospite del rifugio di Agripunk Onlus, i cui responsabili ci hanno raccontato questa storia.
Potete leggere la versione originale a questo link.
E potete aiutare nel mantenimento di Io, e degli altri ospiti del rifugio, affinché altre Io possano trovarvi approdo sicuro.